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Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo: dalla nascita al Primo Dopoguerra
I Cordero sono un antico casato piemontese risalente al XII secolo, quando il capostipite spagnolo, ritornando dalla Crociata, decise di stabilirsi nelle Langhe e fondò Mondovì. Pur non avendo, fino a Giuseppe, personalità di rilievo, la famiglia annovera diversi uomini di cultura, militari ed alcuni prelati. Il nostro protagonista nasce il 26 maggio 1901 a Roma, ove la famiglia si è trasferita a seguito di un incarico conferito al padre Demetrio, ufficiale dell’Esercito.
Beppo, come viene chiamato in famiglia, resta pochi anni nella città che vedrà, circa quarant’anni dopo, le sue principali gesta e che sarà il luogo della sua drammatica morte. I Cordero, infatti, tornano a Torino, sempre al seguito di Demetrio. Gli anni dell’infanzia trascorrono lieti per Beppo, in compagnia dei fratelli minori Renato e Guido. L’educazione gli viene impartita dai Gesuiti nel Collegio in via Arcivescovado.
L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 lo vede entusiasta interventista; d’altra parte non potrebbe essere diversamente: cresciuto in una famiglia di militari tradizionalmente legata a Casa Savoia ed erede del Risorgimento, il giovane Giuseppe è un vero patriota. Suo padre Demetrio, peraltro, combatte in prima linea al comando della Brigata Bologna meritandosi la medaglia di bronzo per il coraggio e le capacità dimostrate in battaglia.
Beppo morde il freno e, conseguito il diploma a 17 anni, si presenta volontario. Ci viene descritto come un ragazzo alto, di bell’aspetto e modi eleganti, biondo di capelli e con occhi azzurri. Un tratto fisico distintivo sono le sue orecchie a sventola. E’ un ragazzo studioso, ma anche appassionato sportivo amante della montagna, dotato di sana costituzione fisica. Si è già formato caratterialmente rivelando quei tratti di intelligenza fuori dal comune che abbina a tenacia, capacità di sintesi e concretezza.
Caratteristiche che negli anni seguenti più volte saranno rimarcate dai suoi superiori e grazie alle quali farà una brillante carriera nell’Esercito. Carriera che, come detto, si avvia precocemente con il battesimo del fuoco negli ultimi mesi di guerra nel 1918. Montezemolo, arruolato come soldato semplice nel 1° Reggimento Alpini, combatte in Val d’Adige. Si fa onore guadagnandosi i gradi di caporale. In prossimità della fine del conflitto Giuseppe viene trasferito alla Regia Accademia Militare di Torino presso il 5° corso del Genio. Anche in questa occasione si distingue giungendo primo su 165 allievi.
Nell’aprile del 1919 viene nominato sottotenente di complemento del Genio. Contemporaneamente si è iscritto alla facoltà di Ingegneria. Per circa un anno resta in servizio attivo prima in Germania e poi a Pavia. Posto in congedo nel gennaio del 1920 rientra a Torino dove prosegue gli studi universitari laureandosi a soli 22 anni nel 1923 in Ingegneria con la votazione di 110 con lode. Trova immediato impiego come ingegnere progettista presso un’ azienda di Genova.
Nello stesso anno, il 22 agosto, convola a nozze con Amalia Maria Dematteis , chiamata con l’affettuoso nomignolo di “Juccia”. Tra i due vi sarà per tutta la vita un profondo amore ed una stima reciproca. Amalia contrasta fisicamente in maniera notevole dal marito: piccola, minuta, dai capelli nerissimi, con la carnagione scura. La sposa proviene da una stimata famiglia borghese; i due si conoscono tramite il padre di lei, medico di fiducia della famiglia Cordero. Ciò che li accomuna sono una notevole intelligenza, la passione per lo studio e lo sport e, soprattutto, i valori etici condivisi.
Vengono descritti da chi li ha conosciuti come una coppia perfetta, legatissimi tra loro e con i figli che hanno messo al mondo. Hanno, infatti, una prole numerosa: nel 1924 nasce il primogenito Manfredi, a cui segue nel 1925 Andrea, poi è la volta di Lydia nel 1926, Isolda nel 1927 ed infine Adriana nel 1931. Siamo all’inizio dell’epoca fascista, nei primi anni guardato con favore da Giuseppe Cordero in quanto pensa che possa porre fine ai disordini ed all’incertezza politica del Paese e valorizzare il ruolo dell’Esercito, i cui componenti nel primo dopoguerra vengono insultati e malmenati per strada dai facinorosi di sinistra. Ma dopo pochi anni si stacca completamente dalla politica mostrando un disincanto totale nei confronti del regime.
La carriera di Montezemolo: le guerre in Etiopia e in Spagna
Nel 1924 Montezemolo rientra nell’Esercito in servizio permanente vincendo un concorso per il Genio e viene nominato tenente. Le sue conoscenze tecniche fanno sì che, promosso capitano nel 1928, vada a ricoprire il prestigioso incarico di insegnante di Scienza delle costruzioni presso la Reale Accademia e Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio a Torino. Anche in questo ruolo si distingue per il suo notevole carisma che esercita su allievi e colleghi. Dal 1930 al 1933 torna studente frequentando il 60° corso della Scuola di Guerra ove si classifica primo con giudizi eccezionali.
Nelle note degli esaminatori le lodi, meritate, si sprecano: prestante e resistente alla fatica, eccellente nella scherma e nell’equitazione. Ma è la sua larghezza di vedute, il suo intuito e la capacità di trovare soluzioni semplici ad ogni problema che colpiscono gli osservatori. Emergono nuovamente le qualità che lo porteranno ad essere il punto di riferimento della resistenza romana: energico, responsabile, coraggioso, capace di stabilire profondi rapporti umani basati sulla fiducia ed il rispetto reciproco.
Ma Montezemolo non è solo docente e discente, si rivela anche scrittore di manuali tecnici che consolidano la sua fama di tecnico di prim’ordine. Gli impegni lavorativi gli lasciano poco tempo libero, che dedica interamente alla sua famiglia passando le vacanze in montagna a sciare in Val Susa o al mare a Varazze, in Liguria. La famiglia è, unitamente all’Esercito, il suo punto centrale ed è bene ribadirlo per comprendere quanto sarà difficile , nei giorni bui, rinunciare ad una vita tranquilla al sicuro tutti insieme invece di scegliere, come farà, il pericolo ed il sacrificio in nome degli ideali che ha coltivato per tutta la vita.
Con lo scoppio della Guerra d’Etiopia nel 1935 il capitano Cordero Lanza di Montezemolo viene trasferito a Roma presso il Comando del Corpo di Stato Maggiore per coordinare le operazioni di logistica in Africa Orientale. Anche questa volta riscuote il plauso dei suoi superiori e, al termine del conflitto viene promosso maggiore con il comando di un battaglione del 1° Reggimento del Genio a Vercelli. Pochi mesi dopo scoppia in Spagna una sanguinosa guerra civile che vede coinvolte, nei mesi seguenti, le dittature schierate a fianco dei contendenti: Nazisti e Fascisti con i Nazionalisti di Franco e l’Unione Sovietica che appoggia l’Esercito Repubblicano.
Montezemolo è un convinto anticomunista ed un fervente cattolico; pertanto non resta insensibile alle notizie provenienti dalla Spagna circa le atrocità commesse, specialmente in danno al clero, dai Rossi. Decide così nel 1937 di arruolarsi volontario nel Corpo Truppe Volontarie italiane ed assume la carica di Capo di Stato Maggiore della 2° Brigata Mista “Flechas Negras” che opera nell’offensiva di Catalogna.
Si tratta di un incarico complesso ed impegnativo che il giovane ufficiale , ancora una volta, porta a termine meritandosi le lodi dei suoi superiori. Roatta, comandante del Corpo di Spedizione, ne esalta il coraggio e la superiorità rispetto agli altri ufficiali italiani ai suoi ordini. Per le sue azioni sul campo di battaglia gli viene assegnata la croce di guerra al valor militare. Al suo ritorno dalla Spagna, nel giugno 1938, viene promosso tenente colonello. Torna alla formazione di militari con la nomina di docente all’Istituto Superiore di Guerra a Torino dove resta per due anni.
Giuseppe Montezemolo nella seconda guerra mondiale
Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 Montezemolo viene trasferito a Roma al Comando Supremo quale responsabile dello scacchiere africano. Mantiene questo incarico per tutta la guerra fino al 1943, compiendo 16 pericolose missioni in Africa Settentrionale. Per il coraggio dimostrato in Libia viene insignito di una medaglia d’argento e di una di bronzo al Valor Militare, nonché – da parte dei Tedeschi – della Croce di ferro di 1° classe.
La guerra non risparmia la sua famiglia: nel 1940 suo fratello minore Guido, sommergibilista, scompare nelle acque dell’Egeo. Grazie alla sua conoscenza del tedesco e la sua riconosciuta esperienza e professionalità viene cooptato per far parte della delegazione che accompagna Benito Mussolini all’incontro con Hitler a Berchtesgaden nel gennaio del 1941. Per una tragica casualità della vita, in questa occasione conosce il capitano delle SS Karl Theodor Schutz che sarà uno dei suoi carnefici a Roma.
Nel summit viene deciso l’invio di truppe tedesche in Nord Africa, la famosa Afrikakorps guidata da Erwin Rommel, con cui Montezemolo si interfaccerà nei mesi seguenti su incarico del generale Ugo Cavallero. In questo frangente conosce anche il generale Carlo Calvi di Bergolo, genero del re, con cui collaborerà strettamente a Roma nei convulsi giorni che seguiranno l’otto settembre. Nel compito di essere il trait d’union tra Rommel ed i vertici militari italiani, Montezemolo deve mettere in campo non solo le sue doti di organizzatore, ma, soprattutto, quelle diplomatiche lavorando per smussare gli angoli e placare i contrasti che quotidianamente sorgono tra le parti sulla conduzione della campagna militare.
Le doti di Montezemolo gli valgono, il primo maggio del 1943, una ulteriore promozione: diventa il colonnello più giovane dell’Esercito. Nel contempo la situazione militare precipita in Nord Africa e non solo. A giugno la caduta di Pantelleria rafforza la convinzione anche tra i vertici militari che la guerra è persa e che l’unica via d’uscita sia spodestare Mussolini. Ma il Re frena all’idea di un colpo di stato e solo lo sbarco in Sicilia, nel luglio seguente, lo convince a dare via libera .
Anche Montezemolo fa parte del complotto. Il 19 luglio del 1943, mentre i bombardieri statunitensi effettuano il primo raid su Roma, Mussolini è a Feltre con l’intenzione di chiedere ad Hitler l’autorizzazione a trattare un armistizio. Nella delegazione troviamo anche Montezemolo il quale resta amareggiato per l’esito dell’incontro con Hitler che si lancia in uno sproloquio senza lasciare al Duce la possibilità di accennare alla sua proposta di resa dell’Italia.
Questo vertice determina di fatto la fine del Regime. Al rientro a Roma il generale Vittorio Ambrosio e Montezemolo si recano dal Re per comunicargli l’esito negativo dell’incontro e concordare i particolari del defenestramento di Mussolini. Passano pochi giorni ed il Gran Consiglio del Fascismo, in una riunione fiume che inizia il 24 e finisce alle prime ore del 25 luglio, sfiducia Mussolini il quale viene poi arrestato nella stessa giornata dai Carabinieri uscendo da un colloquio con il Re.
I militi dell’Arma sono comandati dal tenente colonnello Giovanni Frignani, che finirà fucilato anche lui alle Fosse Ardeatine. Montezemolo, temendo disordini, ha fatto trasferire la famiglia vicino a Perugia. Lui resta al suo posto nella Capitale in quelle ore convulse: ha un incarico particolare da svolgere. Su ordine diretto di Badoglio si reca a Palazzo Venezia per sequestrare i documenti più scottanti contenuti nell’archivio personale del Duce.
Montezemolo esegue e consegna i dossier nelle mani del duca Acquarone, il ministro della Real Casa. Il 30 luglio 1943 viene nominato Capo della Segreteria Particolare di Badoglio, incarico politico che non rientra molto nelle sue corde di militare ed infatti Montezemolo vi resta lo “spazio di un mattino”. Il colonnello capisce subito che non è il suo posto e a metà agosto chiede di tornare a svolgere funzioni operative, a lavorare concretamente per il Paese.
Malgrado l’irritazione di Badoglio per il gesto, viene accontentato e gli si affida il Comando dell’ 11° Raggruppamento Genio Corazzato all’interno del CAM (Corpo d’Armata Motocorazzato) al comando del Generale Giacomo Carboni che ha il compito di difendere Roma. Arriviamo al tragico 8 settembre. Montezemolo si trova a dover gestire, quale aiutante del Generale Calvi di Bergolo (genero di Vittorio Emanuele III), le trattative con il generale tedesco Kurt Student per lo status di “Città aperta” di Roma.
Con questo termine si intende una città che, in seguito agli accordi tra le parti combattenti, rinuncia a combattere per tutelare i civili e preservarla dalla distruzione. L’accordo viene siglato dai Nazisti solo dietro impegno degli Italiani a smobilitare e disarmare le forze armate presenti nella Capitale. Montezemolo chiarisce ai suoi più stretti collaboratori che intende ritardare la consegna delle armi con ogni pretesto possibile nella speranza, che si rivelerà vana, di una liberazione in tempi brevi della Capitale da parte degli Alleati.
Calvi, che dopo una iniziale diffidenza ha compreso il valore e la lealtà del suo collaboratore, lo nomina Capo dell’ Ufficio Affari Militari. Purtroppo i tedeschi impediscono l’attuazione del piano italiano di ritardare l’applicazione dei termini dell’accordo. Con un colpo di mano le truppe naziste entrano in città (mentre era previsto che sarebbe rimaste in periferia), attaccano gli italiani, assaltano le caserme per farsi consegnare le armi e compiono rapine e requisizioni ai danni dei civili.
Il 23 settembre viene posta fine di fatto, mantenendosi solo nella forma, alla “città aperta” con l’arresto da parte dei tedeschi del generale Calvi di Bergolo e dei suoi più stretti collaboratori. Montezemolo scampa fortunosamente a sfuggire all’arresto ed alla deportazione riuscendo ad uscire, in abiti civili, dal Ministero della Guerra prima che i nazisti riescano ad arrestarlo.
Potrebbe facilmente fuggire al Sud, invece decide di restare nella capitale ed entrare in clandestinità per proseguire la lotta. All’inizio trova rifugio presso la cugina, Fulvia Ripa di Meana. Fin da subito inizia a sviluppare, grazie al prestigio goduto, una rete di militari sfuggiti, come lui, alle forze di occupazione. L’organizzazione, che prende il nome di Fronte Militare Clandestino , ha molteplici fini. Prima di tutto deve, come detto, raggruppare i militari “sbandati” rimasti fedeli alla Corona.
Il ruolo di Montezemolo nella resistenza italiana
Nello stesso tempo prende contatto con tutte le formazioni militari clandestine che si stanno costituendo nella capitale. Tale attività si svilupperà nei mesi seguenti a tutte le principali bande operanti nel territorio occupato della R.S.I. Infine, non meno importante, formare un servizio di intelligence per trasmettere informazioni allo S.I.M.(il servizio segreto militare italiano ) di Brindisi.
Le capacità militari ed organizzative, il coraggio, l’empatia unite ad una serietà ed onestà indiscusse ne fanno una persona dotata di un carisma tale che si mettono alle sue dipendente ufficiali di grado superiore e con una tradizione famigliare ancor più importante. Tra tutti citiamo il gen. Raffaele Cadorna, comandante della Divisione Ariete distintasi nella difesa di Roma e, in seguito, Comandante del Corpo Volontari della Libertà.
Il compito più delicato è quello di intelligence. Occorre creare una rete di informatori, sia civili che militari, possibilmente già attivi ed inseriti in strutture ove sia facile attingere notizie che dovranno poi essere convogliate, raccolte e verificate. Una volta effettuata questa cernita le si trasmette al Sud, per mezzo di stazioni radio per il tramite di abili marconisti capaci di comporre i messaggi in tempi strettissimi per evitare la localizzazione da parte dei tedeschi o delle forze armate della neo R.S.I.
Le informazioni trasmesse riguardano spostamenti dei reparti tedeschi sulle linee ferroviarie e stradali, la dislocazione dei depositi di munizioni e la produzione bellica. Questa attività si sviluppa costantemente mediante l’incremento del numero degli agenti segreti operativi che raggiunge le 300 unità. Le informazioni vengono trasmesse da due stazioni radio poste, per motivi di sicurezza, a grande distanza tra loro. Progressivamente il servizio di informazioni si espande anche al nord, sotto la denominazione di “Gruppo Montezemolo” con centrali operative sparse in città di grandi e medie dimensioni.
Anche questa parte dell’organizzazione funziona egregiamente fornendo agli Alleati particolari dettagliati di tutto l’apparato militare tedesco nel nostro Paese. Il clima, con il passare dei giorni si fa sempre più incandescente e Montezemolo è ben consapevole di essere una preda ambita delle SS. Per questa ragione prende la precauzione di concordare con la moglie, ancora rifugiata in Umbria con i figli, di utilizzare il cognome da nubile nelle rare corrispondenze che i due si scambiano, evitando altre forme di contatto.
Una decisione sofferta stante i forti legami esistenti tra i membri della famiglia. Il colonnello si muove di continuo per la capitale sotto mentite spoglie, si fa crescere i baffi e porta sempre occhiali neri per cercare di non farsi identificare, anche se le sue orecchie a sventola non lo aiutano. L’otto ottobre pervengono le direttive del Governo del Sud : lottare contro i tedeschi, mantenere l’ordine pubblico e collaborare con i partiti senza assumere una posizione politica.
Nel FMCR, questa è la sigla del Fronte Militare Clandestino di Roma, entrano numerosi Carabinieri scampati dalla deportazione in Germania, tra questi ritroviamo anche quel Giovanni Frignani che ha arrestato Mussolini. Sempre ai primi di ottobre 1943 avviene l’investitura ufficiale di Montezemolo ( o “M” come viene chiamato nei dispacci ufficiali) a capo dell’organizzazione da parte del Governo Badoglio .
Inizia un periodo frenetico, con il colonnello che si muove in continuazione per evitare la cattura, tesse una trama di relazioni con i principali esponenti dei partiti, concorda azioni con gruppi di partigiani, tra cui i GAP (organizzazione comunista), organizza e coordina le formazioni della Resistenza sia a Roma che nel Lazio. Divide la sua organizzazione in diverse bande costituite da componenti di tutte le FF.AA., della Polizia e Guardia di Finanza.
Completano i quadri anche diversi civili, alcuni dei quali sacerdoti come don Pietro Pappagallo e don Giuseppe Morosini , entrambi caduti poi per mano dei nazi-fascisti. La sua visione a tutto campo e le capacità diplomatiche gli consentono di avviare rapporti amichevoli di grande collaborazione anche con i Comunisti. In un incontro con l’esponente del PCI e capo dei GAP Giorgio Amendola, i due sviluppano una stima reciproca ed arrivano a confessarsi reciprocamente che mai avrebbero pensato di avere così stretti rapporti di fiducia.
Il FMCR fornisce l’approvvigionamento alle bande sia di materiale esplosivo e di armi che di informazioni. Grazie a questa collaborazione vengono effettuate con successo numerose azioni di sabotaggio fuori Roma, in zone scarsamente abitate. A tal proposito occorre precisare che Montezemolo, per tutto il periodo di comando, è sempre stato contrario ad azioni terroristiche compiute in luoghi densamente popolati per evitare ritorsioni naziste sui civili. A tali disposizioni non si sono attenute alcune organizzazioni, come ad esempio i GAP i quali compiono una serie di attentati con fini esclusivamente terroristici verso esponenti nazisti e fascisti.
In alcuni casi questi gesti vengono condannati anche da esponenti comunisti, come Pietro Secchia. Il FMCR nei mesi seguenti inizia ad espandersi anche nelle regioni del Nord ancora sotto il tallone nazista. Si studiano anche i piani per ottemperare alla terza disposizione del governo legittimo: il mantenimento dell’ordine pubblico a Roma nel periodo che intercorrerà tra la ritirata dei Tedeschi e l’arrivo degli Alleati. Si devono evitare disordini e colpi di mano da parte di gruppi rivoluzionari che potrebbero creare il caos rallentando o impedendo il celere ritorno alla normalità e bloccando il ripristino della macchina statale.
Nel frattempo l’organizzazione del FMCR , grazie alle precise direttive di Montezemolo, si amplia sia in termini di aderenti che di attività svolte. Viene creata una Sezione Stampa che si occupa di produrre tessere annonarie, documenti d’identità e permessi falsi. Di estrema importanza è il coordinamento effettuato tra i vari gruppi combattenti, particolarmente per il Centro Italia ancora occupato; tra questi ricordiamo il raggruppamento “Monte Amiata”, agli ordini del ten. col. Croci , che opera principalmente in Toscana.
I rifornimenti di materiale bellico avvengono grazie a numerosi infiltrati nei ministeri militari e nei centri logistici ancora attivi. Armi ed esplosivo vengono trafugati dalla caserme e portati al sicuro grazie all’aiuto della Guardia di Finanza che fornisce al FMCR gli automezzi per il trasporto. Un problema che Montezemolo deve affrontare quotidianamente è quello dei finanziamenti per mantenere in efficienza il movimento. Problema, questo, che sarà ricorrente in tutto il periodo resistenziale.
Ogni unità necessita di documenti falsi, vestiti, armi, luoghi sicuri, mezzi. Gli stessi componenti devono essere sfamati insieme alle famiglie che da loro dipendono. Montezemolo, grazie all’aiuto del Generale Cadorna, riesce ad intessere una serie di strette relazioni con gli istituti bancari e gli industriali capitolini, impegnandosi a restituire le somme a liberazione avvenuta. In seguito il Governo del Sud riesce ad aprire conti intestati a partigiani sotto falso nome presso alcune banche, alimentandoli tramite trasferimenti dalle filiali del Sud a quelle in territori occupati.
Al Nord troveremo un geniale e, purtroppo, dimenticato presidente del CLN, Alfredo Pizzoni, che con questo sistema riuscirà a finanziare le spese di buona parte dei partigiani fino al termine del conflitto. Ad ottobre 1943, principalmente grazie all’incredibile impegno del Colonnello Montezemolo il FMCR è dotato di un preciso organigramma, ha fissato gli obiettivi di lotta e ha avviato una serie di azioni di intelligence di sabotaggio e contro sabotaggio (per impedire la distruzione o il furto di beni industriali da parte dei tedeschi).
Sul piano “politico” ha stretti contatti con i partiti rinati dopo il 25 luglio e unito le varie bande armate del Lazio. Entra a far parte di un comitato permanente composto anche dal liberale Manlio Brosio e dall’azionista Riccardo Bauer in rappresentanza del CLN. E’ grazie al prestigio personale di Montezemolo che vengono superate le diffidenze nutrite dal CLN verso quei militari che non sono inquadrati in formazioni legate ai partiti.
Il capo del FMRC ha altresì stretti rapporti con il Vaticano presso le cui sedi, che godono di extraterritorialità, trovano rifugio prigionieri alleati evasi, ebrei, disertori, politici e militari. Egli stesso, sempre in fuga, trova momentaneo rifugio presso il parroco di San Lorenzo in Damaso, Don Giulio Cericioni il quale non solo lo ospita, ma lo aiuta anche nel preparare i messaggi per gli altri patrioti.
Il cerchio si stringe intorno al colonnello “M.” per il quale è sempre più difficile sfuggire ai tedeschi e fascisti che mettono una taglia di 2 milioni di lire sul suo capo (per capirci circa 680.000 euro odierni). Un altro illustre esponente del Fronte, il generale Raffaele Cadorna spiega che la difficoltà principale è mantenere una disciplina “cospirativa” in un movimento composto da militari, i quali soffrono il doversi nascondere, non conoscere la struttura di comando, non poter portarsi dietro indirizzi o appunti.
Il 1943 giunge al termine tra audaci operazioni di sabotaggio e colloqui per preparare con le forze politiche il trapasso dei poteri con l’arrivo degli Alleati. Oltre alle succitate doti del colonnello Montezemolo, emerge in questo periodo una visione politico-militare estremamente acuta. Un esempio importante di ciò sono i solleciti rivolti a Brindisi affinchè i reparti del neo ricostituito esercito italiano combattano in prima linea con gli Alleati. “M” spiega che si avrebbero diversi benefici, anche psicologici, da questa scelta: si rallenterebbero le adesioni all’esercito della R.S.I., si rafforzerebbe il potere morale all’interno del movimento resistenziale e si darebbe maggiore visibilità al passaggio dal ruolo di cobelligerante a quello di combattente attivo al fianco degli Alleati dell’Italia.
Nel dicembre 1943 la famiglia Montezemolo si riunisce a Roma. La moglie Juccia spiega che il marito teme che l’avanzata degli Alleati, una volta raggiunta Roma, possa subire un rallentamento che porterebbe l’impossibilità di contatti con la famiglia in Umbria. Pertanto, dopo mesi di lontananza si ricongiungono dopo Natale e Juccia, con i figli più piccoli, trova ospitalità in un convento; viene stabilito che si incontrerà con il marito una volta alla settimana. D’altronde è una scelta necessaria: si moltiplicano le voci che le SS siano sempre più vicine alla cattura del colonnello “M”.
Il 1944 si apre però con la visione, illusoria, di un futuro prossimo roseo. Sembra che un nuovo sbarco alleato debba avvenire in prossimità della Capitale, la cui liberazione è prevista entro pochi mesi, se non settimane. Con il sempre più rilevante peso delle bande militari nella regione tutti i partiti, anche quello comunista che non vedeva di buon occhio l’operazione, decidono finalmente di unificare il comando delle operazioni nel Corpo Volontari della Libertà. La resistenza entra nei gangli vitali delle istituzioni a Roma aumentando il clima di sfiducia dei fascisti. La costituzione di un esercito repubblicano fascista fallisce: troppi sono i renitenti alla leva e le diserzioni tra quelli che vi hanno aderito, spesso solo per percepire uno stipendio ed il premio di arruolamento per poi sparire alla prima occasione.
Negli stessi ministeri è maggioritaria l’avversione, celata, ma reale, al Fascismo ed all’occupante tedesca. Gli stessi Carabinieri, falcidiati da deportazioni al nord, sono ritenuti inaffidabili, così come la Polizia e la Guardia di Finanza. Perfino i componenti del PAI , la polizia dei territoti d’oltremare ritenuta fascista, vengono arrestati per l’aiuto prestato alla Resistenza. Alcuni documenti, sia di fonte fascista che del regno, indicano in non meno 10.000 uomini armati la forza che i patrioti avrebbero potuto schierare a Roma in appoggio agli Alleati al momento dello sbarco. Gli stessi tedeschi iniziano a preparare i piani per il ripiegamento.
Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo: la cattura e la morte alle fosse Ardeatine

Lo sbarco è imminente e occorre accelerare i preparativi organizzativi per la liberazione della Capitale. Si intensificano gli incontri tra esponenti della resistenza, anche a scapito delle procedure di sicurezza utilizzate, mentre i tedeschi, sempre più rabbiosi ed impauriti, intensificano gli arresti per decapitare i vertici degli oppositori. Così, praticamente nel giro di una settimana, tra il 17 gennaio 1944 e il 23 gennaio i principali esponenti del FMCR cadono nella rete del capo delle SS di Roma, il famigerato Herbert Kappler.
Sono sia militari, per la maggior parte ufficiali, che civili. I più fortunati vengono incarcerati, quelli che si vuol far parlare alla svelta vengono torturati nel mattatoio di via Tasso. Tra questi c’è anche il tenente colonnello dell’Arma Giovanni Frignai, l’uomo che aveva arrestato Mussolini fuori da villa Savoia. Anche lui viene brutalmente seviziato. Il Duce, messo al corrente della cattura, premia con una somma di denaro i nazifascisti responsabili .
Tra tutti gli arrestati pochissimi cedono alle torture e parlano, di norma facendo in modo che la confessione riguardi aspetti secondari o coinvolga solo persone defunte o al sicuro al Sud. Intanto ecco giungere il tanto atteso sbarco: il 22 gennaio oltre 35 mila uomini costituiscono due teste di ponte ad Anzio e Nettuno. Gli Alleati stanno arrivando. O forse no. I tedeschi concentrano tutte le truppe a disposizione per opporsi allo sbarco.
Montezemolo comunica alle bande partigiane che gli Alleati chiedono loro di entrare in azione immediatamente mediante scioperi e sabotaggi per bloccare o, perlomeno, limitare il flusso di nemici spostati al fronte. E’ la sua ultima comunicazione ufficiale. Mentre il comandante tedesco Albert Kesselring pensa alla ritirata, ormai l’arrivo degli Americani sembra questione di giorni. E’ la speranza di “M.”, il quale sa che ha le ore contate essendo diventato ormai il ricercato numero 1 della Capitale. Ma non per questo si nasconde, anzi. Ancora più frenetici sono gli incontri che si susseguono nelle ore febbrili in attesa di uno sbarco annunciato ad Ostia.
Ormai tutto è pronto a Roma: l’accordo con i partiti è fatto ed i piani per ciascuna banda ben precisati. Proprio quando si intravede la luce della liberazione tutto crolla. Il 25 gennaio 1944, al termine di una riunione, il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo viene catturato insieme all’amico Filippo De Grenet. Entrambi vengono rinchiusi in via Tasso e conoscono l’orrore delle torture. Entrambi termineranno le loro luminose vite nel buio delle fosse Ardeatine. Per 58 lunghissimi, terribili giorni viene interrogato e torturato dai tedeschi senza rivelare nulla.
Secondo le testimonianze dirette raccolte in seguito, pur provato nel fisico, mantiene sempre un comportamento dignitoso ed esemplare. In questo periodo sono numerosi i tentativi da parte di commilitoni e parenti per giungere alla sua liberazione, ma si rivelano tutti infruttuosi. Si giunge al 23 marzo 1944, quando nel centro di Roma i Gap, formazione comunista, compiono un attentato in via Rasella che costa la vita a 33 militari tedeschi e a due civili italiani, di cui uno di soli 12 anni.
Altri quattro italiani vennero uccisi nella sparatoria che segue l’attentato, mentre undici restano feriti. La vendetta di Hitler è implacabile: ordina di fucilare dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Herbert Kappler ed il suo aiutante Erich Priebke , della Gestapo, criminali di guerra, obbediscono all’ordine del Fuhrer e selezionano 335 vittime da fucilare per rappresaglia. Tra questi vi sono Montezemolo ed i principali animatori, militari e civili, del FMCR. Ai prigionieri, per evitare che in qualche modo si ribellino, viene detto loro che stanno per essere deportati al Nord.
Solo giunti davanti alle cave, quando vedono i compagni di sventura entrarvi e sentono i colpi di arma da fuoco, comprendono la triste realtà. L’ultima testimonianza su Montezemolo lo ricorda composto, malgrado le dolorose torture subite, entrare nella sua tomba a testa alta. Muore così, il 24 marzo 1944, insieme a numerosi patrioti che lo avevano aiutato, membri di altre formazioni partigiane, ebrei e comuni cittadini.
Montezemolo si poteva salvare?
La domanda che molti si sono posti, senza ovviamente avere una risposta è se Montezemolo si sarebbe potuto salvare e se l’attentato di via Rasella e la prevedibile rappresaglia tedesca che ne è seguita siano stati decisi per determinarne la morte. Prima di tutto occorrerebbe approfondire i motivi ed il conseguente giudizio dell’attentato di via Rasella, argomenti trattati ampiamente nel corso degli anni da svariati autori che sono giunti a conclusioni spesso in contrasto .
Lasciando da parte le ricostruzioni e le tesi contrapposte che hanno per anni alimentato il dibattito, occorre fare una considerazione: se Montezemolo fosse stato libero in quei giorni, sicuramente si sarebbe opposto all’attentato in quanto andava contro le direttive del Capo del FMCR. Come ricordato queste prevedevano attacchi a linee di collegamento quali strade, ponti e ferrovie lontano dai centri abitati per evitare rappresaglie nazi fasciste. Oppure assalti a caserme ed edifici pubblici per approvvigionarsi di armi, liberare prigionieri o catturare documenti.
In via Rasella non vi è nulla di tutto ciò. Per quanto attiene il destino dell’eroico colonello abbiamo due visioni. La prima immagina un Montezemolo risparmiato dai Tedeschi in quanto garante del mantenimento dell’ordine pubblico che avrebbe evitato attacchi alle truppe naziste in ritirata. D’altro canto il colonello “M” era per Kappler e la sua accolita criminale il nemico numero uno, il rappresentante delle forze patriotiche e del Regno del Sud, l’esempio tipico del “badogliano”.
Ma, soprattutto, era l’uomo che li aveva surclassati più volte e che per mesi era riuscito a sfuggire alla polizia fascista e alla Gestapo. Uno come Kappler, la cui parola valeva un soldo bucato, come aveva dovuto drammaticamente constatare la comunità ebraica romana, anche se avesse promesso salva la vita a Montezemolo in cambio di una transizione pacifica, non avrebbe mantenuto i patti. Dunque è da ritenersi probabile che anche senza via Rasella il nostro protagonista non ne sarebbe uscito vivo. Era, inoltre, troppo importante e ben sorvegliato per tentare un colpo di mano per liberarlo. Forse ci avrebbe provato uno come Edgardo Sogno, se all’epoca fosse stato presente a Roma. Ma qui siamo nel campo dell’ ucronia che non trattiamo.
Un ritratto di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo
Speriamo che in questo breve lavoro sia emersa a tutto tondo la figura di questo straordinario personaggio che meriterebbe di essere citato costantemente come esempio di coraggio, lealtà, capacità di giudizio; un uomo, un marito, un padre che ha sacrificato i valori più cari per difendere il proprio Paese, consapevole di correre verso un destino di dolore e di morte, ma che non ha mai pensato di rifugiarsi verso luoghi sicuri, come gli era stato più volte proposto.
Un uomo che, durante uno degli ultimi incontri con la moglie, le chiede scusa per aver messo la propria famiglia in pericolo per poter fare il proprio dovere. Invece, come spesso accade, il suo nome è pressochè sconosciuto. Di lui esistono alcune ottime biografie ed un convegno realizzato dalla Camera dei Deputati nel lontano 2009. Quale è stata la grandezza di Montezemolo? In fondo nel periodo della Resistenza, non ha combattuto con le armi in pugno, non ha ucciso nemici, fatto saltare mezzi corazzati o altro. Eppure ha svolto un ruolo estremamente importante, essenziale .
Ha raggruppato ed organizzato i vari gruppi di combattenti appartenenti principalmente all’esercito nascenti della resistenza prima a Roma, poi estendendo l’azione all’Italia Centrale per espandersi poi al Nord. Ha preparato i piani per il mantenimento dell’ordine pubblico della capitale nella fase di transizione prevista, che lui purtroppo non vide, dalla ritirata tedesca all’entrata degli Alleati. Ha svolto una notevole azione di avvicinamento ai gruppi partitici, vincendo la diffidenza di questi nei confronti dei militari dopo la crisi dell’8 settembre. Ha coordinato le azioni militari di sabotaggio e contro-sabotaggio rallentando l’azione nemica, tutelando altresì la popolazione civile.
Ha costituito una valida rete di intelligence che non solo ha fornito preziose informazioni al governo del Sud ed agli Alleati, ma ha aiutato molti perseguitati, soprattutto ebrei, a sfuggire dalle grinfie nazi fasciste. Con il suo carisma ha annullato invidie e contrasti anche all’interno della sua organizzazione, venendo riconosciuto anche dai suoi superiori come capo effettivo del FMCR. La sua tragica morte, insieme ad altri sessantotto militari, alle Fosse Ardeatine ha provocato la progressiva, ma veloce, disgregazione del FMC che non si è più ripreso dalla sua perdita.
I numerosi appartenenti delle Forze Armate che proseguirono la lotta, infatti, lo fecero sotto il CNL con formazioni autonome. Con lui scomparve una parte dell’Italia che si è posta al di sopra delle ideologie e delle rivalità, che spesso hanno diviso il movimento della Resistenza, combattendo esclusivamente nell’interesse superiore del nostro Paese. Ecco perché il Colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo deve essere ricordato come simbolo della rinascita e dell’aggregazione di un’Italia nuovamente libera e democratica.
Bibliografia
Il partigiano Montezemolo – Mario Avagliano – Baldini&Castoldi srl – Milano.
Montezemolo e il Fronte Militare Clandestino – Sabrina Sgueglia della Marra – S.M.E. Ufficio Storico
Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, la resistenza, i militari, le Fosse Ardeatine: storia di un eroe italiano – AA.VV. – Camera dei Deputati
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- Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo, Baldini&Castoldi, Milano.